Accoglienza e integrazione


pexels-photo-366063In fila all’ufficio postale Cheddonna attendeva ormai da un quarto d’ora il suo turno per inviare una raccomandata.

Davanti a lei  una decina di persone, visibilmente insofferenti per la lunga attesa, occupavano tutto lo spazio, snocciolandosi in una fila colorata e sghemba tra la porta di vetro e il bancone.

La signora davanti a lei, in coda da più di mezz’ora, guardava con apprensione agli unici due sportelli funzionanti, dove gli impiegati erano intenti a eseguire versamenti e prelievi su conti correnti postali di almeno tre dei cinque continenti.

-Tutti oggi? -aveva esclamato infastidita, constatando come le difficoltà linguistiche degli utenti davanti a lei non facilitassero certo lo snellimento della fila.

-Eh, sì, già!-era saltato su l’arzillo pensionato alle spalle di Cheddonna, agitando con aria minacciosa la Gazzetta dello sport-Adesso uno per  venire a ritirare la pensione deve buttar via mezza giornata! Siccome che io non ho niente da fare, no?- e si era guardato intorno, in cerca di approvazione.

-È giusto accoglierli,-diceva una donna dal piglio manageriale, consultando compulsivamente l’orologio -ma non si potrebbe stabilire un giorno dedicato alle loro operazioni, in modo da non intralciare gli altri utenti?-

Cheddonna, un po’ infastidita dalla piega velatamente razzista che stava prendendo la conversazione, ostentava un’espressione impassibile. Certo, anche a lei non piaceva dover aspettare così a lungo, anche perché nel frattempo la fila dietro di lei si era ulteriormente infittita e non c’era quasi più spazio per muoversi, all’interno del piccolo ufficio postale, ma -Suvvia, non è mica colpa loro se non parlano bene l’italiano, l’accoglienza ha come presupposto la tolleranza, dopo tutto. –

Immersa in questi ragionamenti, dopo un altro buon quarto d’ora di attesa, Cheddonna si era d’un tratto accorta che, dal fondo della fila, un uomo di colore si era avvicinato a uno degli sportelli, facendo lo slalom attraverso la folla assiepata. Intorno a lui il mormorio di fondo aveva lasciato  il posto a un silenzio carico di tempesta.

-Eh, furbo questo!-era sbottata, venendo meno di colpo a tutti i suoi buoni propositi. -Siamo tutti in coda da ore e arriva lui e pretende di passarci davanti!- La gente  assentiva, accompagnando gli “Oh!”, “Ben detto!”, “C’è la fila!” con vigorosi gesti di approvazione del capo.

– A me mi vengono i nervi quando vedo certe cose, ma però poi ti dicono che sei razzista se ti lamenti. Ci farà perdere un’altra mezz’ora, non credo mica  che sa l’italiano, quello lì!-era saltato su il pensionato, inviperito.

L’uomo di colore si era voltato un attimo, con aria interrogativa, aveva rivolto un sorriso di scuse alla piccola folla in procinto di mangiarlo vivo, poi, rivolgendosi all’impiegato, gli aveva domandato: -Mi scusi, potrebbe darmi una penna, per cortesia? Vorrei compilare il bollettino prima di mettermi in fila. Grazie!- e, presa la penna, si era messo a scrivere ad un tavolino, prima di rimettersi pazientemente in coda, in mezzo a un silenzio improvvisamente di piombo e a decine di volti avvampati, e  di occhi bassi.

 

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